Parlare di “Donna manager” significa essere vittima di un bias discriminatorio?

Donna manager: è un bias discriminatorio?

“Gender Bias”: errore cognitivo che ci porta a trattare diversamente le persone a seconda del loro genere. Questa preliminare definizione è da tenere a mente, perché intendiamo mostrare come anche una parola in prestito dal vocabolario anglosassone, come manager, dunque per sua natura neutra, nel parlato italiano segua, sovente, la specificazione di genere, ovvero donna.

Lecito domandarsi perché debba essere un bias, un errore, specificare ad un interlocutore che la persona oggetto del discorso, ovvero chi ricopre una posizione manageriale, sia una donna.

Questo non è sbagliato. Ma avete mai partecipato ad una conversazione dove si parlasse di “Uomo manager”? Lasciamo a ognuno il beneficio di formulare una risposta, basandosi sulla propria esperienza.

La questione linguistica è di estremo rilievo, ma ciò che è certo è che parlare di management al femminile significa ancora raccontare di eccezioni, e la narrazione corrente le vuole impegnate a destreggiarsi tra la cura della casa e gli impegni di lavoro.

Per trattare questo argomento estremamente rilevante, ci siamo fatti affiancare da Odile Robotti. Founder di Learning Edge, società specializzata nella formazione manageriale e nello sviluppo delle risorse umane, Odile è anche membro di La carica delle 101, community di manager e imprenditrici che si impegnano a sostenere le startup italiane nel loro percorso di crescita. Inoltre è Country Lead del 30% Club Italia, una campagna globale per portare la presenza delle donne nella leadership ad almeno il 30%. 

Quando le chiediamo perché raggiungere la percentuale di presenza del 30% sia così importante, ci spiega: “I sociologi ci insegnano che oltre il 30% di rappresentanza, un gruppo non è più minoritario all’interno di una popolazione. Se le donne sono almeno il 30% nella leadership, non si percepiscono e, soprattutto, non sono percepite come una minoranza, ma come una normalità. Questo ha effetti importanti su come si comportano e su come sono trattate. Per collegarci a quello che abbiamo appena detto, l’espressione “donna manager” non ha più senso: la donna manager non attira l’attenzione come un caso particolare. Poi, è chiaro, l’obiettivo di presenza femminile nella leadership è 50%, ma il 30% è un traguardo significativo”.

Donne nelle aziende: una riflessione sulla loro presenza

“Come è riuscita a coniugare i suoi impegni lavorativi con le esigenze della famiglia?”: nelle interviste alle donne di cui parliamo, questa domanda è (quasi) sempre presente. Non vogliamo tacciare di discriminazione chiunque ponga il quesito, ma proporre una riflessione: nel 2021, pensiamo ancora che una donna debba dividersi a metà, tra lavoro e cura della famiglia.

La stessa domanda non viene posta agli uomini. Al di là di proporre soluzioni futuriste, è necessario interrogarsi su quale dialogo possa instaurarsi per garantire risposte, terminologie e strategie per una reale parità dei diritti, che superi le percentuali fissate dalle Quote Rosa. La presenza femminile nelle aziende deve provenire da interventi più ampi: applicare una percentuale fissata per Legge (il riferimento è alla legge Golfo-Mosca, 12 luglio 2011, n. 120) non potrebbe funzionare.

Con questo, non vogliamo schierarci contro tale legge: la presenza di donne nei CdA delle società quotate in borsa è cresciuta a ritmo sostenuto, nell’ultimo decennio ed è stato un segnale positivo oltre che un’opportunità per alcune donne. Basti pensare che l’incremento delle donne nei CDA delle società quotate alla borsa di Milano è passato da 170 nel 2008, (5,9%), a 811 nel 2020 (36,3%).

Diversity aziendale: quattro ostacoli che alterano la percezione

Ma quali gender bias riguardano le donne su posto di lavoro? everis, società di consulenza multinazionale, ne individua quattro in particolare che portano il genere femminile in condizione di svantaggio in sede lavorativa.

  • Valutazione delle prestazioni e attribuzione delle competenze. Nella valutazione dei KPI, per gli uomini regna il potenziale, mentre per le donne spesso il giudizio avviene su quanto effettivamente già dimostrato. Allo stesso modo, a livello di soft skill, agli uomini vengono attribuiti ruoli di leadership, più conformi agli standard mentali imperanti.
  • The tightrope. Competitività e ambizione: due caratteristiche reputate piacevoli se appartenenti a un uomo, ma sgradevoli se associate a una donna. Da lei ci si aspetta che mostri disponibilità, modestia e comprensione. La conseguenza è che una donna competitiva e ambiziosa viene percepita come eccessivamente “maschile”, dunque non apprezzata.
  • La maternità. Assumere una donna, con l’idea che arriverà il momento in cui chiederà il congedo per la maternità, e che – alla nascita dei figli – diventerà meno competente e meno focalizzata sul lavoro, pesa enormemente sull’occupazione femminile. Ma non solo: le donne con ruoli di grande responsabilità sono spesso giudicate negativamente come madri. 
  • The gender war. La guerra che avviene tra coloro che decidono di adattarsi al comportamento tradizionalmente femminile, e le donne che – per indole o rivoluzione – scelgono di non farlo. Entrambe hanno un’opinione profondamente negativa della categoria opposta.

Barriere all’ingresso

I ruoli dirigenziali sono ricoperti solo nel numero di 18,3% da donne nel nostro Paese. La condizione di privilegio nell’accesso in cui si trovano gli uomini è ancora viva, ma qualcosa sembra cambiare.

A sostegno di quanto abbiamo illustrato, si aggiunge che – nonostante gli incentivi e agevolazioni previsti per l’imprenditoria femminilele donne fanno più fatica ad accedere ai finanziamenti bancari e ai fondi di venture capital.

Per rispondere alla domanda iniziale: sì, parlare di “Donna manager” significa essere vittima di un bias discriminatorio. Utilizzare il termine con il semplice articolo femminile non è ancora entrato nel parlato comune; allo stesso modo, tutte le varianti femminili dei sostantivi indicanti una professione contribuiscono ad abbattere un muro, ma la soluzione è da ricercarsi in una più profonda destrutturazione dell’idea di “Donna sul lavoro”.

Realizzare un’autentica parità delle opportunità, che incontri i criteri di inclusione sociale e promozione della diversità sul posto di lavoro è una priorità per Jobtech. Ecco perché non possiamo che auspicare un sempre maggiore impegno nell’abbattimento di pregiudizi e barriere che precludono l’accesso femminile a qualsiasi posto di lavoro.

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