Cosa dice la normativa sullo smart working nel privato?

La normativa sullo smart working nel privato

Dovremmo esserci abituati, dopo aver trascorso quasi due anni lavorando da casa. La soluzione adottata in maniera prevalente è quella del lavoro ibrido, con 2-3 giorni in presenza in ufficio e i rimanenti in smart working. Tanti ancora i dubbi e le domande sulle nuove regole nel privato, che speriamo questo articolo chiarisca, se non tutti almeno in parte: se una delle domande che ancora ti pone è quale sia la differenza tra smart working e telelavoro, ti rimandiamo al contenuto dedicato!

Per sciogliere i nodi presenti sul lavoro da casa ci serviremo della normativa smart working, denominata “Protocollo nazionale sul lavoro in modalità agile”, sottoscritta il 7 dicembre 2021 presso il Ministero del Lavoro. Il protocollo su cui ci baseremo fissa un quadro di riferimento, condividendo linee guida per i contratti collettivi nazionali, aziendali e/o territoriali.

Lo smart working è obbligatorio?

Una delle domande più gettonate, senza ombra di dubbio. In accordo con la normativa smart working 2022, ricordiamo che l’adesione al lavoro agile è volontaria e richiede un accordo individuale scritto, fermo il diritto di recesso. 

Un caso per molti versi improbabile, ma cosa avverrebbe se il lavoratore rifiutasse di aderire allo smart working? Secondo la giurisprudenza in merito, questa circostanza non integra gli estremi del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo oggettivo, ne ha rilevanza disciplinare. 

Un consiglio per chi intendesse adottare o mantenere questo strumento di lavoro in azienda, è sicuramente quello di accordarsi con i dipendenti, valutando attentamente la gestione del loro lavoro in modalità agile.

Il datore di lavoro può rifiutarsi di far lavorare in smart working i dipendenti?

In questo caso, la risposta è che – se le esigenze lavorative e le mansioni del datore di lavoro lo consentono – il datore di lavoro è tenuto a concedere lo smart working al lavoratore. A sancirlo, è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 27913 del 4 dicembre 2020.

Si aggiunge a questo il fatto che un dovere del datore di lavoro è quello di tutelare il benessere dei propri dipendenti, anche attraverso lo smart working, se necessario; fa parte delle strategie da mettere in campo per garantire il benessere dei lavoratori, a qualsiasi costo!

 Il datore di lavoro può richiedere una riduzione di stipendio?

No, assolutamente! Ma siamo certi che chi ci legge questo già lo sappia; teniamo però a spiegare la motivazione che risiede dietro questa affermazione. Come prevede l’art. 20 della legge n. 81/2017, lo smart working non deve incidere sugli elementi contrattuali in essere (es. livello, mansioni, inquadramento e retribuzione).

 Il lavoratore agile, rispetto ai colleghi che svolgono le stesse mansioni all’interno dei locali aziendali, ha diritto allo stesso trattamento economico e normativo complessivo, anche con riferimento ai premi di risultato, alle stesse opportunità nei percorsi di carriera, di formazione e ogni altra opportunità di specializzazione e progressione della professionalità, nonché alle stesse forme di welfare aziendale e benefit (se vuoi approfondire la questione buoni pasto e smart working) previste dai contratti collettivi e dalla bilateralità (art. 9).

A chi spettano le spese per il lavoratore?

La normativa smart working di riferimento è chiarita dall’Agenzia delle Entrate, che informa che la somma corrisposta a titolo di rimborso spese ad un dipendente che opera in regime di lavoro agile può essere esclusa dall’imposizione fiscale solo se la cifra corrisposta si riferisce al risparmio di determinati costi aziendali ed è il più possibile documentabile e analitica.

Un’ulteriore precisazione è che – in sede di determinazione del reddito di lavoro dipendente – le spese sostenute dal lavoratore in smart working (consumo di Internet, inchiostro stampante, energia elettrica) e rimborsate in modo forfetario, sono escluse dalla base imponibile solo nell’ipotesi in cui il legislatore abbia previsto un criterio funzionale a determinarne la quota che, dovendosi ritenere riferibile all’uso nell’interesse del datore di lavoro, può essere esclusa dall’imposizione.

Il dipendente può lavorare in smart working dall’estero?

Lo smart working è per sua natura flessibile, quindi perché il lavoratore non dovrebbe svolgere le sue mansioni dall’estero? No, non c’entra la normativa europea, qui il tema è squisitamente fiscale. È il testo unico delle imposte sui redditi a chiarire come il reddito di lavoro dipendente, prestato all’estero per un periodo superiore a 183 giorni, è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con il decreto del Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali.

Quindi smart working da Ibiza sì, ma non più di 183 giorni l’anno! Molti paesi dal clima mite stanno promuovendo offerte e pacchetti per i remote workers d’importazione, quindi le occasioni per sfruttare incentivi smart working sono tantissimi!

Smart working e green pass: quale obbligo e per chi

La nuova normativa ha imposto l’obbligo di green pass, anche derivante da esito negativo del tampone, a tutti i lavoratori del pubblico e del privato. La certificazione verde vaccinale è invece obbligatoria per tutti i lavoratori over 50, in qualsiasi settore lavorino e a prescindere dalla modalità in presenza o da remoto.

La domanda “Quale sarà il futuro dello smartworking per le aziende private?” non è destinata a rimanere insoluta, perché la direzione è giù stata delineata. La normativa sullo smart working, con il ritorno in ufficio di chi sceglierà o valuterà di lavorare in presenza, è un significativo passo avanti: mostrare alle aziende i vantaggi del lavoro da remoto è importantissimo!

Se lo smart working fa parte della tua realtà aziendale e ricerchi personale, non puoi non contattarci! Saremo felici di fissare un meeting virtuale con te per raccontarti le nostre opzioni di ricerca e selezione e somministrazione di lavoro.

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