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A marzo 2021 i rappresentanti degli stati membri dell’Unione Europea si erano riuniti al Parlamento Europeo per proporre una direttiva sulla parità salariale.
Due anni dopo – precisamente il 30 marzo 2023 – è stata ufficialmente approvata dalla maggioranza, con ben 427 voti favorevoli. In pratica, manca solo il via libera definitivo del Consiglio. Dopodiché, entro i prossimi tre anni, tutti gli stati membri dell’Unione Europea dovranno adeguare la nuova legge a livello nazionale, diffondendo ufficialmente la sua entrata in vigore.
Intanto in questo contenuto vediamo più nel dettaglio le novità del testo, e in che modo potrebbe influenzare il mercato del lavoro.
Cosa prevede la direttiva, concretamente.
La nuova P9_TA(2023)0091 – questo il nome della legislazione – impone alle aziende con più di 100 dipendenti di dichiarare, nell’annuncio di lavoro oppure al momento del primo colloquio, a quanto ammonta lo stipendio previsto per quella posizione. Mettendo la parola “fine” a quello che viene definito segreto retributivo.
Prevede poi l’obbligo di comunicare eventuali disparità salariali tra i dipendenti, che dovranno essere rivisti qualora superino – senza alcuna giustificazione – il 5%. Inoltre, tutti i lavoratori e lavoratrici avranno la possibilità di accedere ai dati aziendali sulle retribuzioni.
Ma l’intervento della norma non si è limitato a questo: sempre a favore dei dipendenti, il datore di lavoro non potrà più richiedere informazioni sulle retribuzioni percepite in precedenza, così che questo dettaglio non impatti (positivamente o negativamente) sulla nuova proposta economica destinata al candidato o alla candidata.
Ok, ma per quale motivo?
Le ragioni che hanno spinto il Parlamento ad approvare la nuova direttiva hanno radici molto profonde.
Da una parte, sicuramente, nel corso degli anni si è fatta più forte la necessità di adeguarsi a un contesto sociale e culturale ormai cambiato ed evoluto, in cui tutti i lavoratori e le lavoratrici dovranno sentirsi sempre più tutelati. Dall’altra, si è amplificata la volontà di garantire equità e ridurre il divario di genere, un concetto di cui si sente parlare ancora piuttosto frequentemente. Soprattutto in Europa.
Per questo non sarà ammessa intransigenza, e il Parlamento su questo si è già espresso: gli Stati Membri dovranno farsi trovare pronti a rispondere ad ogni violazione della norma con sanzioni ad hoc.
La trasparenza può anche rivelarsi un vantaggio, in fondo.
In particolar modo per i processi di ricerca e selezione, che oggi vedono i recruiter sempre più coinvolti in strategie di talent acquisition e talent attraction.
Dare visibilità sulla retribuzione prevista potrebbe rappresentare per tutti i candidati e le candidate uno stimolo in più per accettare l’offerta, rendendo più semplice la fase di ingaggio. Oppure, di contro, potrebbe porre l’accento sull’esigenza di rivedere i livelli retributivi, se considerati poco in linea con quanto offre il mercato. Migliorando, di conseguenza, la competitività.
Un sistema che incentiva la parità salariale non può che contribuire anche alla creazione di un clima aziendale positivo, in cui inclusione ed eguaglianza sono valori effettivamente sentiti e condivisi. E che possono fare la differenza.
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